Alba di fuoco a Lucinico
Appena ebbe accertato che l’Esercito Italiano aveva preso saldamente possesso di Cormòns, il Comando della 58ª Divisione austro-ungarica, che nel frattempo si era insediato nei locali del palazzo di Giustizia di Gorizia, non avendo a disposizione truppe sufficienti da poter inviare contro il nemico per impegnarlo in uno scontro campale, si risolse di arrecargli il maggior disturbo possibile, anche psicologico, colpendo con un mortaio Škoda da 30,5 cm lo scalo ferroviario della città collinare, centro nevralgico di tutto il traffico di truppe, materiali e quadrupedi affluenti per l’avanzata contro la testa di ponte di Gorizia.
Poiché il 1° giugno gli italiani avevano già occupato la collina di Gradiscutta e si stavano inesorabilmente avvicinando a Lucinico, c’era il rischio imminente che la stazione di Cormòns venisse a trovarsi al di fuori della portata del mortaio, la cui gittata ottimale si aggirava sui nove-dieci chilometri. Pertanto nella notte tra il 2 e il 3 giugno 1915 venne urgentemente trasportato oltre l’Isonzo e messo in batteria sulla piazza principale di Lucinico, uno dei due mortai Škoda da 30,5 cm della Mörserbatterie Nr.7 (il II) al comando del capitano di artiglieria Geza Lajtos von Szentmaria.
Per assicurare la dovuta protezione contro l’eventuale irruzione nel paese da parte di colonne italiane e scongiurare il rischio che potesse cadere in loro mani questa preziosa bocca da fuoco, fu rinforzato con l’afflusso di alcuni plotoni di fanteria l’esile schieramento di truppe austro-ungariche che si snodava ad appena qualche centinaio di metri dal punto in cui era piazzato il mortaio e furono innalzate ostruzioni stradali sulle vie d‘accesso. Da qui il grosso pezzo sparò in rapida successione una quindicina di “bauli” di oltre tre quintali e mezzo di peso all’indirizzo della stazione di Cormòns, che in quel inizio di mattino pullulava di truppe appena smontate dalle tradotte, e poco dopo il levar del sole era nuovamente riparato oltre l’Isonzo.
Un colpo, verosimilmente il primo, centrò in pieno la sala ristorante della stazione, dove in quel momento si stavano rifocillando gli ufficiali di un reggimento appena scaricato dal treno, uccidendoli tutti. Gli altri colpi seminarono morte, distruzione e panico per tutto lo scalo ferroviario. Gli italiani, come risposta a questo inaspettato “raid” artiglieresco, il giorno dopo scaricarono su Lucinico una tempesta di fuoco di tutti i calibri provocando moltissime distruzioni ed anche alcune vittime tra la popolazione civile. Ma l’obiettivo principale cui puntava il Comando austro-ungarico era stato raggiunto: gli italiani arrestarono per un po’ la loro avanzata e ciò consentì agli avversari di guadagnare tempo prezioso per trincerarsi al meglio in difesa lungo il Calvario.
Il mortaio Škoda da 30,5 cm
Vanto dell’artiglieria austro-ungarica, il miglior pezzo del suo genere in uso tra tutti i belligeranti, il mortaio M.11 da 30,5 cm era stato appositamente progettato dalle Officine Škoda di Plzen in Boemia per demolire opere fortificate. Suoi punti di forza erano la mobilità, potendo viaggiare con traino meccanico scomposto in tre carichi (canna-affusto-culla) e la relativa rapidità con cui poteva essere messo in batteria (6-8 ore) e smontato (2-6 ore). La cadenza di tiro si aggirava sui 3-4 minuti. Poteva lanciare alla distanza massima di 11 chilometri un proiettile di 380 chili di peso.
Pierpaolo Cocianni