Profughi e internati
La profuganza e l’internamento furono eventi che coinvolsero quasi tutta la popolazione distribuita lungo il corso dell’Isonzo. Nel capitolo relativo a Gorizia nel 1918 si sono già riassunte le loro dimensioni e durata. Se il materiale relativo alla vita nei campi profughi austriaci, quali Wagna, Pottendorf e altri ubicati tra la Stira e la Boemia, è cospicuo e già analizzato dai ricercatori storici, quello relativo alla profuganza in terre italiane è di problematica reperibilità, per mancanza di fonti archivistiche organizzate.
In Italia infatti non si crearono grossi centri di raccolta e permanenza dei profughi che invece vennero distribuiti in gruppi anche di modeste entità in centri grandi e minori. Pure il loro rientro, lento e coordinato dalle autorità civili, avvenne in maniera ben diversa da quello proveniente dai campi austriaci. Per decenni gli aspetti della profuganza dei sudditi delle “nuove province redente” non furono oggetto di approfondimenti e studi sistematici, in quanto la problematica non costituiva interesse per le autorità dell’epoca tese a celebrare la grande vittoria e le virtù del Regio Esercito.
E’ interessante quindi poter disporre di materiale conservato dalle famiglie goriziane, fatte sfollare dalle autorità militari italiane poco prima dell’arrivo degli austriaci, alcuni giorni dopo Caporetto. Carte di identità, attestazioni dello stato di profuganza e in particolare elenchi delle dotazioni per i profughi, spesso privi anche del necessario vestiario di ricambio. Un puntiglioso e preciso registro dei beni, ricevuti come dote per lo stato di profuganza, ci fa scoprire come venissero concessi anche sussidi per gli studi dei figli minori.
Un insieme di documenti che ci permettono di intravedere alcuni aspetti poco noti della vita da profughi nelle terre italiane, in questo caso toscane e laziali.
Parallela alla profuganza si snoda la storia degli internati, ovvero di quei cittadini, politicamente inaffidabili (Politisch unverlässlich) trentini e giuliani, prelevati e trasferiti in varie località in particolare dell’Austria inferiore, quali Göllersdorf, Mittergrabern, Oberhollabrunn, Katzenau, Raschalà. Si trattava di cittadini appartenenti a tutte le classi sociali, con buona prevalenza di intellettuali. Lo stesso podestà di Gorizia, Bombi, subì l’internamento già nel 1915.
Anche i giovani, non ancora in età da essere chiamati sotto le armi, di quelle famiglie nel cui nucleo risultavano persone renitenti alla leva o fuggite in Italia, subirono l’esperienza dell’internamento. Raggiunta l’età utile per fare i soldati venivano arruolati e inviati a delle unità militari “speciali”, non combattenti o inviate sul fronte orientale con compiti non di prima linea. Nei campi di internamento si doveva lavorare, spesso all’esterno degli stessi, in fabbriche e cantieri di costruzioni di strade e ferrovie. L’uscita dai campi era ammessa solo con apposito lasciapassare e sottostava a continui controlli da parte della gendarmeria. Solo ad inizi del 1917, l’imperatore Carlo parificò lo status di internato a quello di profugo.